sabato 23 maggio 2009

Bambini in ospedale: il dovere di educare


Prendo spunto dall'iniziativa Clown's in Volo a Copertino (LE), per i cui dettagli vi rimando ad Animare.it. In breve è una manifestazione dell'Associazione C.A.SA. con giochi, gag, una mostra e un convegno per sensibilizzare il pubblico sulle necessità educative dei bambini in ospedale.
La presenza del clown in ospedale, resa famosa da Patch Adams, di solito è vista come la possibilità di rendere accessibile la malattia, la cura, i medici, l'ospedale al bambino, abituato - per fortuna - a ben altri contesti e situazioni.
Qui, invece, il punto di vista è un altro. L'idea è che il bambino ha bisogno di crescere, di avere esperienze stimolanti, anche durante il percorso terapeutico; che non deve essere una parentesi vuota rispetto alla vita prima e dopo la malattia; che anzi, può diventare un'occasione fondamentale per acquisire la capacità di interpretare da uomini le occorrenze della vita, che non sempre va nelle direzioni che vorremmo ma che, non di meno, ci impegna a viverla da protagonisti e in responsabilità.
Chi vi scrive sa che questo non è affatto un percorso facile da fare, sia per i genitori - preoccupati per la salute dei loro figli - che per i medici.

domenica 3 maggio 2009

Macerie. Mentali.

In queste settimane siamo stati tutti investiti dalle notizie drammatiche sul terremoto in Abruzzo. Ha colpito molto il particolare accanimento con cui il terremoto (il terremoto?) sembrava aver investito i giovani. In tutti noi la memoria è tornata indietro fino al 31 ottobre 2002, a San Giuliano di Puglia, e ai ragazzini sepolti sotto la loro scuola.
Poi, in questi giorni, arriva l'influenza suina, e si annota che il virus si diffonda in particolare tra i giovani.
Mi fa riflettere il fatto che, al di là delle statistiche e dei numeri concreti, il coinvolgimento dei giovani colpisca l'opinione pubblica e faccia notizia.
Mi fa riflettere, perché ho la sensazione che verso i giovani le generazioni più mature coltivino un mix di sensi di colpa e nostalgia, che non solo alla fine risulta privo di risultati concreti ma che deforma la nostra percezione di ciò che i giovani sono, tanto che non riusciamo più a dar loro un nome, avendo quasi finito le lettere dell'alfabeto (x, y,...).
Di solito non amo esternare l'amarezza e sarà che anch'io invecchio, ma penso che dovremmo smettere di offrire ai giovani le strutture più fatiscenti. Non parlo solo della scuola di San Giuliano e della Casa dello Studente dell'Aquila. Parlo delle strutture mentali, delle categorie che non riusciamo a rinnovare, dei concetti che non sappiamo più esprimere come le case che non sappiamo più costruire, perché quelle antiche restano in piedi ma le nuove crollano al primo soffio di vento.
Perdiamo i giovani perché abbiamo perso gli ingegneri e li perdiamo perché stiamo perdendo gli adulti.
Li perdiamo perché di loro stiamo conservando le fotografie, contemplando in tv la loro bellezza o circondandoci sapientemente con la loro immagine, per rafforzare il nostro potere, la nostra influenza.
Ed è più facile far loro spazio prendendo ciò che di loro è consumabile, il volto (florido o tumefatto), il corpo (la divinità di Venere, di Apollo o di Cristo in croce), il lavoro (quello strapagato dei calciatori e delle veline o quello precario, usa e getta, dei call center e degli studi professionali), più che stargli accanto perché possano prendere il posto che gli spetta.